Quesiti giuridici (F.A.Q.)

Domande e risposte
Nota relativa alla consultazione delle F.A.Q.

Le risposte ai quesiti sono curate dall'Ufficio di supporto giuridico - (Tel: 0461 497250) in collaborazione con gli Uffici del Dipartimento istruzione e cultura e le altre strutture provinciali competenti.
La normativa citata nelle risposte fornite ai diversi quesiti potrebbe subire nel tempo delle modifiche, pertanto  invitiamo gli utenti a consultare il testo normativo attualmente vigente posizionandosi con il mouse in corrispondenza del link specifico inserito nella risposta.

È possibile consentire agli alunni l'accesso alle aree pertinenziali della scuola (es. cortile interno munito di copertura al fine di proteggerli dalle intemperie) prima dello squillo ufficiale della campanella (ad es. al cortile interno munito di copertura al fine di proteggerli dalle intemperie)?

Risposta

L'accesso degli alunni alle aree pertinenziali della scuola prima dello squillo ufficiale della campanella è consentito nel caso in cui la scuola sia organizzata per garantire la necessaria vigilanza.
Alcune precisazioni: ogni scuola, in ragione della propria autonomia e delle proprie specifiche criticità/necessità, ha la facoltà di determinare per gli alunni del primo ciclo l’orario di apertura della scuola secondo criteri di flessibilità e comunque tenendo conto delle esigenze delle famiglie e dell’organizzazione didattica complessiva. La norma di legge fa riferimento alle sole istituzioni scolastiche del primo ciclo in ragione dell’età degli alunni. Diversamente, le norme contenute nel contratto provinciale di lavoro vigente non fanno alcuna precisazione circa l’ambito di applicazione delle norme in esso contenute, ponendo pertanto a carico di tutti i docenti l’obbligo di trovarsi in classe 5 minuti prima dell'inizio delle lezioni e di assistere gli alunni all'uscita dalla scuola. Infine, per rispondere alle esigenze della sorveglianza degli alunni, ed in particolare di quelli trasportati, sempre il contratto di lavoro provinciale prevede altresì la possibilità di attivare - attraverso un atto motivato del Consiglio dell’Istituzione ed ancora una volta non specificando la tipologie di istituzioni scolastiche alla quali applicare la norma – delle iniziative, anche didattiche, di pre-scuola e post-scuola nel rispetto della funzione docente purché per un numero minimo di alunni e per un tempo minimo di 15 minuti.
A ciò si aggiunge che i docenti sono comunque tenuti a garantire la presenza in aula 5 minuti prima dell’effettivo inizio delle lezioni.
Il Consiglio dell’Istituzione può attivare iniziative di pre-scuola. Spetterà poi al Dirigente scolastico verificare le modalità di attivazione delle stesse, sulla base delle risorse umane e finanziarie disponibili, per garantire la regolare vigilanza.
Dette iniziative possono essere anche didattiche prevedendo il coinvolgimento del corpo docente, ma anche dei collaboratori scolastici che, contrattualmente, hanno tra i loro compiti anche quello di provvedere alla “accoglienza e vigilanza degli alunni nei periodi immediatamente antecedenti e successivi all'orario delle attività didattiche”, così come può essere affidato, nel rispetto della normativa, un incarico specifico a soggetti esterni.

Quadro normativo di riferimento

  • articolo 56, comma 2, della legge provinciale 7.8.2006 n. 5  (legge provinciale sulla scuola): "(omissis). Per il primo ciclo l'orario delle lezioni e di apertura della scuola è individuato secondo criteri di flessibilità, tenendo conto delle esigenze delle famiglie e dell'organizzazione didattica complessiva. (omissis)"
  • art. 26 CCPL 29.11.2004 come da ultimo sostituito dall’art. 3 dell'accordo sull'utilizzo delle ore di recupero del 28.09.2010, modificato dall'art. 13 dell'accordo in ordine alle modalità di utilizzo risorse FO.R.E.G. dd. 21.11.2012, sostituito dall'art. 3 dell'accordo modificativo del vigente CCPL dd. 13.05.2013 a decorrere dall'a.s. 2013/2014, sostituito dall'art. 2 dell'accordo modificativo del vigente CCPL dd. 24.07.2014 a decorrere dall'1.9.2014): "Per assicurare l'accoglienza e la vigilanza degli alunni, gli insegnanti sono tenuti a trovarsi in classe 5 minuti prima dell'inizio delle lezioni e ad assistere all'uscita degli alunni medesimi";
  • art. 27 del CCPL 29.11.2004 dei docenti, come sostituito dall'art. 14 dell'accordo in ordine alle modalità utilizzo risorse FO.R.E.G. dd. 21.11.2012, sostituito dall'art. 4 dell'accordo modificativo del vigente CCPL dd. 13.05.2013, modificato dall'art. 4 dell'accordo modificativo del vigente CCPL dd. 24.07.2014: “1.Per rispondere alle esigenze della sorveglianza degli alunni, in particolare quelli trasportati, il Consiglio di Istituto, con atto motivato, può attivare iniziative anche didattiche di pre-scuola e post-scuola nel rispetto della funzione docente. Dette iniziative potranno essere attivate per un numero minimo di alunni e per un tempo minimo di 15 minuti. Le iniziative di cui sopra rientreranno nella programmazione delle attività e potranno essere effettuate:
    - in regime di flessibilità curricolare all'interno dell’orario di insegnamento
    - ricorrendo alle prestazioni di cui al comma 4 dell’articolo 26
    - ricorrendo alle attività aggiuntive di insegnamento riconosciute nel Fondo unico dell’istituzione scolastica. 

La prestazione eventualmente richiesta agli insegnanti è attribuibile previo accordo con il docente e assegnata, previa adeguata comunicazione, dal dirigente scolastico all'interno della programmazione dei tempi di lavoro del personale docente di cui al comma 5 bis dell’articolo 25”

  • declaratoria relativa alla figura professionale del “collaboratore scolastico” di cui all'allegato A) all'ordinamento professionale di data 10.11.2004 contenuto nel C.C.P.L. del personale ausiliario, tecnico e amministrativo (A.T.A.)

Per quanto tempo restano affisse le comunicazioni sindacali all'albo sindacale? Vale anche per queste comunicazioni la regola dei 15 giorni come per i provvedimenti adottati dalle scuole? Vanno pubblicate anche nell'albo online della scuola?

Risposta

Le comunicazioni sindacali sono cosa diversa dai provvedimenti adottati dalle scuole e, conseguentemente, non sono sottoposte ai medesimi vincoli di pubblicazione, sia in termini temporali che di modalità.

Il termine di pubblicazione dei 15 giorni, ad esempio, riguarda solo i provvedimenti adottati dalle scuole e non i comunicati sindacali che vanno gestiti invece direttamente dai sindacati, nel rispetto delle modalità di utilizzo delle attrezzature messe a disposizione dalla scuola ed il cui uso va concordato con la stessa in modo da non comportare disagio organizzativo e costi aggiuntivi.

Analogo discorso vale per i supporti utilizzati per la pubblicazione: una cosa è l’albo online della scuola, altra cosa, invece, è la bacheca sindacale, quale spazio di affissione che la scuola garantisce ai sindacati. Solo gli atti e provvedimenti adottati da una Pubblica Amministrazione devono essere pubblicati sull’albo informatizzato, e dunque anche gli atti e provvedimenti adottati dalle scuole vanno pubblicati su apposito albo online; non vanno invece pubblicati all’albo online della scuola gli atti/avvisi adottati dai sindacati in quanto i sindacati, da un punta di vista giuridico, sono  delle semplici associazioni private e non delle Pubiche Amministrazioni. La gestione della bacheca/albo sindacale rimane pertanto di stretta competenza delle organizzazioni sindacali.

Per completezza informativa si segnala che è prevista la bacheca sindacale in ogni unità produttiva, cioè in ogni plesso, sezione staccata, succursale o sede coordinata della scuola (così prevede la legge 20 maggio 1970, n. 300 - Statuto dei Lavoratori)

La responsabilità di quello che viene affisso non è della scuola, ma del sindacato che espone la comunicazione.

Il dirigente scolastico, tuttavia, se ritiene che il materiale pubblicato dal sindacato sia in contrasto con la legge, può invitare la Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU) a rimuoverlo, oppure, come per ogni reato, può informarne la competente autorità giudiziaria. Se il dirigente scolastico staccasse unilateralmente il materiale affisso alla bacheca sindacale, senza rivolgersi alla RSU commetterebbe un'attività antisindacale (Cassazione, sezione Lavoro, sentenza n. 2808 del 23.3.1994).

Quadro normativo di riferimento

  • articolo 14, comma 6, del D.P.G.P. di data 18 ottobre 1999, n. 13-12/Leg. avente ad oggetto “Regolamento concernente norme per l'autonomia delle istituzioni scolastiche”, dove si legge: "I provvedimenti adottati dalle istituzioni scolastiche, fatte salve le specifiche disposizioni in materia di disciplina del personale e degli studenti, divengono definitivi il quindicesimo giorno dalla data della loro pubblicazione nell'albo della scuola. Entro tale termine, chiunque abbia interesse può proporre reclamo all'organo che ha adottato l'atto, che deve pronunciarsi sul reclamo stesso nel termine di trenta giorni, decorso il quale l'atto diviene definitivo. Gli atti divengono altresì definitivi a seguito della decisione sul reclamo.”
  • articolo 25 della Legge 20 maggio 1970 n. 300 avente ad oggetto “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” (c.d. Statuto dei Lavoratori) dispone che; “Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.”
  • articolo 37 dello Statuto dei Lavoratori dove si legge: “Le disposizioni della presente legge si applicano anche ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti da enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica. Le disposizioni della presente legge si applicano altresì ai rapporti di impiego dei dipendenti dagli enti pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali.”
  • articolo 17 del CCPL 29.11.2004 del personale docente rubricato “Diritto di affissione dispone” dove si legge: “Le OO.SS., nonché le RSU e RSA, hanno diritto di affiggere in appositi spazi, che l'Amministrazione ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutto il personale all'interno della scuola, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti materie d’interesse sindacale e del lavoro. L’Amministrazione rende disponibili, ove possibile, le proprie reti informatiche. Le comunicazioni inviate dalle OO.SS. alle istituzioni scolastiche sono consegnate, a cura delle segreterie, al rappresentante sindacale designato dalle organizzazioni stesse, al quale è consentito diffondere dette comunicazioni, a mezzo fax o posta elettronica, agli altri plessi scolastici dell’istituzione scolastica di appartenenza. Le modalità di utilizzo delle attrezzature vanno concordate con l’Amministrazione e non possono comportare disagio organizzativo. E’ fatta salva la possibilità di chiedere il rimborso di eventuali oneri derivanti da aggravi di spesa.”
  • articolo 18 CCPL 17.10.2003 del personale ATA ed assistente educatore rubricato “Diritto di affissione” dispone: “Le OO.SS., nonché le RSU e RSA, hanno diritto di affiggere in appositi spazi, che l'Amministrazione ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutto il personale all'interno dell'unità operativa, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti materie d’interesse sindacale e del lavoro. L’Amministrazione rende disponibili, ove possibile, le proprie reti informatiche. Le modalità di utilizzo delle attrezzature vanno concordate con l’Amministrazione e non possono comportare disagio organizzativo. E’ fatta salva la possibilità di chiedere il rimborso di eventuali oneri derivanti da aggravi di spesa.”

Per insegnare a scalare in una palestra di roccia artificiale creata in una scuola occorre essere guida alpina oppure è sufficiente essere abilitati ISEF? 

Risposta

Lo svolgimento dell’attività di insegnamento di arrampicata in ambiente artificiale può essere svolta da un docente con abili

t

azione ISEF non in possesso del titolo di guida alpina.
Qui di seguito alcune precisazioni.

Premessa

L’attività di arrampicata è compresa tra quelle rientranti nell’oggetto della professione di guida alpina (articolo 2 della legge provinciale 23 agosto 1993, n. 20) e si considera guida alpina “chi svolge professionalmente, anche in modo non esclusivo o continuativo”, le attività oggetto di tale professione.

In relazione alla legge statale in materia, che ha contenuti analoghi a quelli della legge provinciale, la Corte d’appello di Milano, pronunciandosi su un presunto caso di esercizio abusivo della professione di guida alpina, relativo a due istruttori iscritti ad un’associazione aderente alla Federazione Arrampicata Sportiva Italiana (FASI) che organizzavano corsi di arrampicata in falesia (costa rocciosa con pareti a picco), afferma che “l'art. 2 della legge n. 6/89 […] adoperando la espressione "professionalmente" (anche "se non in modo esclusivo e continuativo") intende riferirsi all'esercizio non episodico o remunerato dell'attività” (Corte d’appello di Milano, sezione II, 30 maggio 2005).

È necessario inoltre chiarire se la natura dell’attività proposta rientri tra quelle di pertinenza della guida alpina. La sentenza di primo grado (Tribunale di Milano, sezione IV, sentenza n. 9048 dell’8 ottobre 2004) relativa allo stesso caso sopra citato, confermata in appello nei punti di seguito indicati, stabilisce: “Il fuoco del problema va posto nella necessità o meno che l’insegnamento della arrampicata sportiva si svolga soltanto in ambiente artificiale, o se non possa anche svolgersi in ambiente naturale. […] Il legislatore, infatti, ha inteso richiedere una particolare professionalità (garantita da una lunga formazione specifica, dal superamento di esami e dall’iscrizione all’albo che impone un costante aggiornamento professionale) a coloro che sono chiamati ad accompagnare escursionisti in montagna, ed a insegnare le tecniche di ascesa alpinistica. Con ciò riconoscendo l’intrinseca natura pericolosa dell’ambiente in cui tale attività viene svolta, e la necessità di un sapiente contenimento dei rischi che tale ambiente comporta. Rischi che derivano non soltanto dalle peculiarità più o meno ‘sportive’ delle tecniche adottate (più legate ad aspetti di preparazione ‘atletica’), ma anche dalla particolare ‘instabilità’ dell’ambiente naturale tipico della montagna. Sia dal punto di vista meteorologico che geologico. Ed infatti prevede l’obbligo ‘per ogni guida alpina in caso di infortuni in montagna o comunque di pericolo per alpinisti, escursionisti o sciatori, a prestare la loro opera individualmente o nell’ambito delle operazioni di soccorso, compatibilmente con il dovere di mantenere le condizioni di massima sicurezza per i propri clienti’. Con ciò evidenziando la natura quasi fisiologica delle condizioni di rischio dell’ambiente montano”. L’articolo 37, comma 2, del decreto del Presidente della Provincia 27 febbraio 2007, n. 3-83/Leg, prevede lo stesso obbligo di soccorso stabilito dall’articolo 11, comma 2, della legge 2 gennaio 1989, n. 6, cui fa riferimento la sentenza sopra citata.

Conclusioni

Alla luce di quanto riportato, pare possibile considerare non esercitato in forma professionale l’insegnamento di tecniche di arrampicata da parte di un docente con titolo ISEF, poiché non prende specifica remunerazione per tale attività, e comunque, anche se fosse considerato esercizio in forma professionale, la sentenza di I grado pare comunque escludere la necessità di essere guida alpina per insegnare arrampicata in ambiente artificiale.

L’attività oggetto del quesito posto dalla scuola è riconducibile all’arrampicata sportiva effettuata in ambiente artificiale. In base alle fonti citate, risulta che per lo svolgimento dell’attività di insegnamento di arrampicata in ambiente artificiale non sia necessario il possesso del titolo di guida alpina. Tuttavia, ciò non esclude la responsabilità del docente in caso di incidenti dovuti a competenza inadeguata all’insegnamento dell’arrampicata in ambiente artificiale.

Al fine di migliorare le competenze dei docenti, la Federazione Arrampicata Sportiva Italiana (FASI), che ha tra le proprie finalità anche “favorire la costruzione di impianti artificiali per l’arrampicata sportiva, specialmente nelle scuole, in collaborazione con le iniziative di enti pubblici e privati”, organizza corsi della durata di 25 ore per docenti di educazione fisica, rilasciando un attestato di “Abilitazione come Operatore Scolastico” ai docenti che abbiano frequentato almeno l’80% del corso. L’organizzazione dei corsi deve essere richiesta direttamente alla FASI.

In conclusione, si ritiene che un docente con abilitazione ISEF non in possesso del titolo di guida alpina possa svolgere l’attività di insegnamento di arrampicata solo in ambiente artificiale, ferma restando la possibilità che i docenti che intendono insegnare arrampicata partecipino al corso organizzato dalla Federazione Arrampicata Sportiva Italiana (FASI).

A titolo informativo si segnala, infine, che l’articolo 35 del decreto del Presidente della Provincia 27 febbraio 2007, n. 3-83/Leg, prevede la possibilità di svolgere percorsi di formazione negli Istituti secondari superiori convenzionati con il collegio provinciale delle guide alpine, che consentono di ottenere il riconoscimento di un credito formativo per l’ammissione ai corsi di abilitazione per la figura di aspirante guida. Tali corsi devono essere tenuti da istruttori abilitati ai sensi dell’articolo 16 della legge provinciale 23 agosto 1993, n. 20.

Quadro normativo di riferimento

Articolo 2 della legge provinciale 23 agosto 1993, n. 20:
Oggetto della professione di guida alpina
1. È guida alpina chi svolge professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo, le seguenti attività:
a) accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia che su ghiaccio o in escursioni in montagna anche di interesse naturalistico nonché nelle attività di torrentismo e di canyoning
b) accompagnamento di persone in ascensioni sci-alpinistiche o in escursioni sciistiche
c) insegnamento delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche con esclusione delle tecniche sciistiche su piste di discesa e di fondo nonché insegnamento delle tecniche di arrampicata, di torrentismo e di canyoning
2. Lo svolgimento a titolo professionale delle attività di cui al comma 1, su qualsiasi terreno e senza limiti di difficoltà e, per le escursioni sciistiche, fuori dalle stazioni sciistiche attrezzate o dalle piste di discesa o di fondo e comunque laddove possa essere necessario l'uso di tecniche e di attrezzature alpinistiche, è riservato alle guide alpine abilitate all'esercizio professionale e iscritte all'albo professionale delle guide alpine istituito dall'articolo 4, salvo quanto disposto dall'articolo 3
3. Le guide alpine possono, altresì, accompagnare persone nelle visite a parchi naturali o a zone di tutela ambientale nonché ad altre zone di particolare pregio naturalistico e fornire notizie e informazioni di interesse naturalistico, paesaggistico e ambientale

Articolo 16 della legge provinciale 23 agosto 1993, n. 20:
Istruttori
1. Le funzioni di istruttore tecnico nei corsi sono affidate esclusivamente a guide alpine-maestri di alpinismo che siano in possesso del diploma di istruttore di guida alpina-maestro di alpinismo rilasciato a seguito della frequenza degli appositi corsi organizzati dal collegio nazionale delle guide alpine o dal collegio provinciale delle guide alpine
2. La Provincia può assumere a proprio carico le spese dei corsi di formazione e di aggiornamento programmati dal collegio provinciale delle guide alpine”

Articolo 47, comma 1, della legge provinciale 23 agosto 1993, n. 20:
1. L'esercizio abusivo della professione di guida alpina, di accompagnatore di media montagna e di maestro di sci è punito, indipendentemente dalla sanzione penale, con la sanzione amministrativa da 600 a 1.800 euro; alla medesima sanzione è soggetta l'agenzia di viaggio, la scuola di alpinismo e di sci-alpinismo, la scuola di sci o l'organizzazione non riconosciuta dei maestri di sci qualora si avvalga di soggetti privi delle abilitazioni previste dalla presente legge”.

Articolo 348 del codice penale:
Abusivo esercizio di una professione
Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione da sei mesi a 3 anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000”.

Articolo 35 del decreto del presidente della provincia 27 febbraio 2007, n. 3-83/Leg:
Percorsi di formazione
1. La formazione realizzata dagli istituti secondari superiori convenzionati con il collegio provinciale delle guide alpine e con il collegio provinciale dei maestri di sci, secondo un piano coerente con la formazione ordinaria disposta dal presente regolamento, è riconosciuta:
a) quale condizione idonea per l'ammissione agli esami di abilitazione per la figura di accompagnatore di media montagna
b) quale condizione idonea per l’ammissione agli esami previsti dall’articolo 23 comma 1 bis  per il conseguimento della qualifica di allievo di maestro di sci
c) quale credito formativo per l'ammissione ai corsi di abilitazione per la figura di aspirante guida
2. Ai fini del conseguimento dell'abilitazione all'esercizio della professione di maestro di sci sono ritenuti validi i corsi frequentati durante la formazione realizzata dagli istituti nonché lo svolgimento dell'attività d'insegnamento secondo quanto previsto dall'articolo 22, comma 3
3. La Giunta provinciale, sentito il parere del competente collegio provinciale, stabilisce con propria deliberazione le condizioni per l'attuazione di questo articolo nonché le modalità e le quote di iscrizione agli esami

Articolo 2 della legge 2 gennaio 1989, n. 6:
Oggetto della professione di guida alpina
1. È guida alpina chi svolge professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo, le seguenti attività:
a) accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia che su ghiaccio o in escursioni in montagna
b) accompagnamento di persone in ascensioni sci-alpinistiche o in escursioni sciistiche
c) insegnamento delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche con esclusione delle tecniche sciistiche su piste di discesa e di fondo
2. Lo svolgimento a titolo professionale delle attività di cui al comma 1, su qualsiasi terreno e senza limiti di difficoltà e, per le escursioni sciistiche, fuori delle stazioni sciistiche attrezzate o delle piste di discesa o di fondo, e comunque laddove possa essere necessario l'uso di tecniche e di attrezzature alpinistiche, è riservato alle guide alpine abilitate all'esercizio professionale e iscritte nell'albo professionale delle guide alpine istituito dall'articolo 4, salvo quanto disposto dagli articoli 3 e 21
3. Le regioni provvederanno a individuare e a delimitare le aree sciistiche ove è consentita l'attività dei maestri di sci

Come ci si deve comportare se si ricevono per posta certificati e/o atti di notorietà, in luogo di dichiarazioni sostitutive di certificazione e di atto di notorietà, per non incorrere nella violazione dei doveri d'ufficio?

Risposta

Alla luce delle novità introdotte dalla legge di stabilità 2012 all'articolo 40 del d.P.R. n. 445 del 28.12.2000, in materia di certificati ed atti di notorietà, ne consegue che dall'1.01.2012 le Pubbliche Amministrazioni, e i soggetti privati gestori di pubblici servizi, non possono più richiedere né accettare da soggetti terzi (e quindi neppure protocollare in entrata) certificati ed atti di notorietà; se ciò avviene si configura infatti una violazione dei doveri d’ufficio (ai sensi dell’articolo 74, comma 2, lettera c bis), del d.P.R. n. 445 del 2000.

Tuttavia, al fine di non allarmare nessuno, compresi i colleghi preposti all'ordinaria attività di protocollazione della corrispondenza in entrata, si ritiene di fornire le sotto riportate indicazioni dettate dal buon senso oltre che dalla necessità di non aggravare il procedimento amministrativo (come disposto dall'articolo 9, comma 1, della legge provinciale n. 23 del 1992 (legge provinciale sull’attività amministrativa); sarebbe, infatti, paradossale oltre che antieconomico, in presenza di un certificato o di un atto di notorietà in entrata, restituire il tutto al mittente chiedendogli di trasmetterci più correttamente una dichiarazione sostitutiva di certificazione o di atto di notorietà.

Ciò premesso, se dovesse capitare di acquisire via posta un certificato o atto di notorietà si ritiene si possa comunque utilizzarlo al fine di acquisire le informazioni che servono, tuttavia, nell'atto che si andrà a predisporre non dovrà essere fatto alcun diretto richiamo al certificato o atto di notorietà, ma dovrà invece essere inserita una generica frase del tipo "Verificato d'ufficio che il sig. Mario Rossi ha prestato servizio presso l'istituzione ..... dal ..... al ..... ecc....".

Quadro normativo di riferimento

  • articolo 40 del d.P.R n. 445 del 2000 al quale sono stati aggiunti i commi 01 e 02 dall’articolo 15 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012), che recitano:
    “01. Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47
    02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi»”
  • articolo 9, comma 1, della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23 (legge provinciale sull'attività amministrativa) che recita: “1. Nell'ambito di un procedimento amministrativo può essere richiesta esclusivamente la documentazione individuata dalla Giunta provinciale, anche in deroga a quanto previsto da leggi o da regolamenti, nel rispetto di quanto previsto dalle disposizioni vigenti in materia di riduzione degli oneri amministrativi, di acquisizione d'ufficio dei documenti e di autocertificazione e in attuazione del principio di non aggravamento del procedimento.”
  • articolo 74, comma 2, lettera c bis), del d.P.R. n. 445 del 2000 dove si legge che: “Costituiscono altresì violazioni dei doveri d'ufficio (…) il rilascio di certificati non conformi a quanto previsto all'articolo 40, comma 02”
  • articolo 40 , comma 02, del d.P.R. n. 445 del 2000 che recita: “Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: "Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi"

Esiste un limite di età per l'iscrizione ai corsi scolastici diurni? 

Risposta

Ha diritto ad iscriversi per la prima volta ai corsi scolastici diurni chi è soggetto all’obbligo scolastico (è obbligatoria l’istruzione impartita per almeno 10 anni e riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni - articolo 1, comma 622, primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296).

Dopo la prima iscrizione lo studente può proseguire gli studi nei corsi scolastici diurni oltre il periodo dell’obbligo scolastico, se non supera il numero massimo di ripetenze previsto dagli articoli 182 e 192 del decreto legislativo 16 aprile 1994  n. 297. Chi, avendo abbandonato gli studi dopo il completamento dell’obbligo scolastico, intenda successivamente riprendere gli studi interrotti, non ha diritto all’iscrizione a corsi diurni, ma può iscriversi a corsi per adulti.

Motivazioni e indicazioni

La possibilità d’iscrizione ai corsi scolastici diurni si ritiene sia legata essenzialmente alla disciplina dell’obbligo scolastico. Per chiarire tale impostazione risulta utile analizzare la sentenza delle Corte Costituzionale 4-6 luglio 2001, n. 226, nella quale la Corte - confermando la costituzionalità dell’articolo 14, comma 1, lettera c), della legge 5 febbraio 1992, n. 104, che ammette il completamento della scuola dell’obbligo per i disabili fino al compimento del diciottesimo anno di età - ha riconosciuto la legittimità del rifiuto di una nuova iscrizione alla scuola secondaria di primo grado; in proposito la Corte afferma che in generale “trascorso il periodo durante il quale è obbligatoria la frequenza scolastica, l'istruzione inferiore perde l'originaria configurazione di dovere e il relativo diritto può essere esercitato mediante la frequenza di corsi per adulti”. Inoltre, “la frequenza di corsi per adulti per la persona handicappata che abbia raggiunto la maggiore età assume una funzione tanto più rilevante, in quanto consente, in modo certamente più incisivo rispetto alla frequenza di classi solitamente composte da tredici quattordicenni, il raggiungimento dell'obiettivo cardine della legge quadro sopra indicato in ambiti il più possibile omogenei. Infatti l'integrazione scolastica della persona maggiorenne affetta da handicap può dirsi realmente funzionale al successivo inserimento nella società e nel mondo del lavoro qualora avvenga in un contesto ambientale che anche sotto il profilo dell'età sia il più vicino possibile a quello nel quale detta persona sarà accolta e che certamente è il più idoneo a favorire il completamento del processo di maturazione” (tale sentenza è inoltre richiamata da T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, 26-08-2008, n. 521).

In relazione alla situazione degli studenti non disabili, dall’analisi dei “principi” contenuti in questa sentenza della Corte costituzionale si ritiene di poter desumere quanto segue:

Relativamente all'adempimento dell'obbligo di istruzione:

  • le persone residenti in Italia al compimento dei sei anni di età sono soggette all’obbligo di iscrizione alla prima classe della scuola primaria ed all’obbligo di iscrizione per ogni anno successivo, per un periodo di dieci anni
  • le persone immigrate in Italia di età inferiore a sedici anni sono soggette all’obbligo di iscrizione ad una classe della scuola dell’obbligo - dalla prima classe della scuola primaria alla seconda classe della scuola secondaria di secondo grado - e all’obbligo di iscrizione per ogni anno successivo fino al compimento dei sedici anni di età

Relativamente alla prosecuzione degli studi dopo l'assolvimento dell'obbligo di istruzione:

  • può essere respinta la domanda di iscrizione ad una classe della scuola secondaria di primo grado presentata da uno studente che abbia compiuto i sedici anni, qualora non sia stato promosso dopo aver frequentato la stessa classe per due anni, secondo quanto previsto dall’articolo 182 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297
  • può essere respinta la domanda di iscrizione ad una classe della scuola secondaria di secondo grado presentata da uno studente che abbia compiuto i sedici anni, qualora abbia superato il numero massimo di ripetenze in base a quanto previsto dall’articolo 192, comma 4, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297
  • la domanda di iscrizione ad un corso di istruzione diurno presentata da una persona che abbia compiuto i sedici anni dopo aver interrotto il proprio percorso di studi si ritiene possa essere respinta; pur non esistendo un obbligo giuridico chiaramente sancito di rifiutare l’iscrizione, dall’analisi della sentenza delle Corte costituzionale si ritiene che l’istituzione scolastica nella formazione delle classi sia tenuta a considerare le esigenze di omogeneità degli studenti in relazione alla loro età e pertanto indirizzare gli stessi verso la frequenza di corsi per adulti“più idonei a favorire il completamento del loro processo di maturazione”

Quadro normativo di riferimento

Articolo 1, comma 622, primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296:
L'istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età

Articolo 14, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104:
Il Ministro della pubblica istruzione provvede alla formazione e all'aggiornamento del personale docente per l'acquisizione di conoscenze in materia di integrazione scolastica degli studenti handicappati, ai sensi dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 399, nel rispetto delle modalità di coordinamento con il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica di cui all'articolo 4 della legge 9 maggio 1989, n. 168. Il Ministro della pubblica istruzione provvede altresì:

a) all'attivazione di forme sistematiche di orientamento, particolarmente qualificate per la persona handicappata, con inizio almeno dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado
b) all'organizzazione dell'attività educativa e didattica secondo il criterio della flessibilità nell'articolazione delle sezioni e delle classi, anche aperte, in relazione alla programmazione scolastica individualizzata
c) a garantire la continuità educativa fra i diversi gradi di scuola, prevedendo forme obbligatorie di consultazione tra insegnanti del ciclo inferiore e del ciclo superiore ed il massimo sviluppo dell'esperienza scolastica della persona handicappata in tutti gli ordini e gradi di scuola, consentendo il completamento della scuola dell'obbligo anche sino al compimento del diciottesimo anno di età; nell'interesse dell'alunno, con deliberazione del collegio dei docenti, sentiti gli specialisti di cui all'articolo 4, secondo comma, lettera l), del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416, su proposta del consiglio di classe o di interclasse, può essere consentita una terza ripetenza in singole classi”

Articolo 182 [ripetenze nella scuola secondaria di primo grado] del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297:
1. Una stessa classe di scuola statale pareggiata o legalmente riconosciuta può essere frequentata soltanto per due anni, salvo nei casi in cui sia necessario completare il periodo di istruzione obbligatoria ai sensi dell'art. 112
2. Agli alunni handicappati può essere consentita una terza ripetenza in singole classi, a norma dell'art. 316

Articolo 192, comma 4 [ripetenze nella scuola secondaria di secondo grado], del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297:
Una stessa classe di istituto o scuola statale, pareggiata o legalmente riconosciuta può frequentarsi soltanto per due anni. In casi assolutamente eccezionali, il collegio dei docenti, sulla proposta del consiglio di classe, con la sola componente dei docenti, ove particolari gravi circostanze lo giustifichino, può consentire, con deliberazione motivata, l'iscrizione per un terzo anno. Qualora si tratti di alunni handicappati, il collegio dei docenti sente, a tal fine, gli specialisti di cui all'art. 316

Gli orari di servizio dei docenti sono pubblici? Possono essere comunicati, su richiesta, al rappresentate di una casa editrice?

Risposta

No, l’orario di servizio dei docenti non è di pubblico dominio.

Alcune precisazioni

Al fine di non generare dubbi o confusione sull'argomento occorre premettere che è pubblico il provvedimento con il quale il dirigente scolastico determina l’articolazione del calendario settimanale delle diverse discipline d’insegnamento, adottato nel rispetto del quadro dell’offerta formativa stabilito nel Progetto d’Istituto.

Ciò in quanto il provvedimento in sé non contiene dati personali, intendendo per dati personali le informazioni che identificano o rendono identificabile una persona fisica e che possono fornire dettagli sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione economica (es. nome e cognome, data di nascita, codice fiscale, ecc...)

Al dirigente scolastico spetta inoltre adottare i provvedimenti di gestione del personale, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 23, comma 2, lettera d), della Legge provinciale sulla scuola: tali provvedimenti però non sono pubblici (articolo 31, comma 2, della Legge provinciale sull'attività amministrativa).

Come previsto dal D.Lgs  30 giugno 2003, n.196 recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali” all'art. 2 ter - Base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri - la diffusione e la comunicazione di dati personali, trattati per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri, a soggetti che intendono trattarli per altre finalità sono ammesse unicamente se previste da una norma di legge o nei casi previsti dalla legge,  di regolamento.

Nelle FAQ del Garante per la protezione dei dati denominate - Trasparenza online della PA e privacy – e in particolare la n.7 si riporta la domanda “Le pubbliche amministrazioni possono pubblicare qualunque dato e informazione personale per finalità di trasparenza?” e la risposta è: “No. Vale la regola generale per la quale i soggetti pubblici possono diffondere dati personali solo se ciò è ammesso da una specifica disposizione di legge o regolamento”, quindi se non vi è una norma di legge o di regolamento non è possibile procedere alla pubblicazione del dato personale;

Dal quadro complessivo qui riportato se ne deduce quindi che l’orario di servizio dei docenti non è di pubblico dominio è tuttavia possibile che il rappresentante della casa editrice si proponga all'istituzione scolastica e formativa con una lettera nella quale fornisce i propri recapiti telefonici. In questo caso sarà cura del docente, eventualmente interessato, ricontattare il rappresentante al fine di concordare giorno ed ora dell’appuntamento, giacché tra le competenze dei docenti vi è anche quella di provvedere all'adozione dei libri di testo nonché alla scelta dei sussidi didattici.

Quadro normativo di riferimento

  • articolo 23, comma 2, lettera d), della l.p. 7.8.2006, n. 5 (legge provinciale sulla scuola) ai sensi del quale “Il dirigente dell’istituzione … adotta i provvedimenti di gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, tenuto conto delle competenze del consiglio dell'istituzione e del collegio dei docenti previste dagli articoli 22 e 24;”
  • legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23 (legge provinciale sull'attività amministrativa) ed in particolare l’articolo 31, comma 2, che recita “Non sono pubblici gli atti di gestione del personale, nonché ….”

DECRETO LEGISLATIVO 30 giugno 2003, n.196 recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali”
Art. 2-ter (Base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri)
1. La base giuridica prevista dall'articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del regolamento è costituita esclusivamente da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento
2. La comunicazione fra titolari che effettuano trattamenti di dati personali, diversi da quelli ricompresi nelle particolari categorie di cui all'articolo 9 del Regolamento e di quelli relativi a condanne penali e reati di cui all'articolo 10 del Regolamento, per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri è ammessa se prevista ai sensi del comma 1. In mancanza di tale norma, la comunicazione è ammessa quando è comunque necessaria per lo svolgimento di compiti di interesse pubblico e lo svolgimento di funzioni istituzionali e può essere iniziata se e' decorso il termine di quarantacinque giorni dalla relativa comunicazione al Garante, senza che lo stesso abbia adottato una diversa determinazione delle misure da adottarsi a garanzia degli interessati
3. La diffusione e la comunicazione di dati personali, trattati per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri, a soggetti che intendono trattarli per altre finalità sono ammesse unicamente se previste ai sensi del comma 1
4. Si intende per:
  a) "comunicazione", il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato, dal rappresentante del titolare nel territorio dell'Unione europea, dal responsabile o dal suo rappresentante nel          territorio dell'Unione europea, dalle persone autorizzate, ai sensi dell'articolo 2-quaterdecies, al trattamento dei dati personali sotto l'autorità diretta del titolare o del responsabile, in qualunque forma, anche mediante la loro            messa a disposizione, consultazione o mediante interconnessione
  b) "diffusione", il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione

  • Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati (Allegato alla deliberazione n. 243 del 15 maggio 2014) adottate dal Garante per la protezioni dei dati  con deliberazione n.243 del 15 maggio 2014.
  • Regolamento (UE) 679/2016  del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)

Può un'istituzione scolastica e formativa paritaria aderire ad una "rete" scolastica?

Risposta

No. L’articolo 19 della Legge provinciale sulla scuola, specificamente dedicato alle reti che possono essere costituite tra le istituzioni scolastiche e formative, cita espressamente e solamente le “istituzioni scolastiche e formative provinciali”, non anche le “istituzioni scolastiche e formative paritarie”.

Tenuto conto che in altri articoli della Legge provinciale sulla scuola il legislatore provinciale, quando lo ritiene opportuno, cita espressamente sia le “istituzioni scolastiche e formative provinciali” che le “istituzioni scolastiche e formative paritarie” (vedi, ad esempio: l’articolo 8, comma 2, lettere b) e c); l’articolo 34, comma 1; l’articolo 38, comma 1; l’articolo 43, comma 1; l’articolo 54, comma 2)), si ritiene di potere evincere che la volontà del legislatore sia stata quella di consentire che gli “accordi di rete”, di cui all'articolo 19 della Legge provinciale sulla scuola, possano essere sottoscritti solo tra le “istituzioni scolastiche e formative provinciali” con esclusione delle “istituzioni scolastiche e formative paritarie”.

Una conferma di ciò ci viene data anche dall'articolo 20, comma 3, lettera a), della Legge provinciale sulla scuola dedicato specificamente alle forme di collaborazione tra le istituzioni, dove si legge che le “istituzioni scolastiche e formative provinciali” possono definire con le “istituzioni scolastiche e formative paritarie” accordi di programma o convenzioni; mentre non vengono citati gli accordi di rete.

Quadro normativo di riferimento

Legge provinciale sulla scuola (l.p. n. 5 del 7 agosto 2006): articoli 19 e 20

Può il genitore di un alunno rivestire l'incarico di revisore dei conti scolastico, di cui all'articolo 26 della Legge provinciale n. 5 del 2006, nella stessa istituzione scolastica o formativa frequentata dal proprio figlio, o si ravvisano conflitti di interesse?

Risposta

Un dipendente provinciale, quale componente del “Nucleo di controllo della gestione finanziaria, amministrativa e patrimoniale delle istituzioni scolastiche e formative provinciali”, non può svolgere le funzioni di revisore contabile nell'istituzione scolastica/formativa frequentata dal proprio figlio.

Alcune precisazioni

Si ritiene opportuno innanzitutto premettere che:

  • l’incarico di revisore dei conti scolastico è previsto da specifica normativa di settore: articoli 26 e 44 della Legge provinciale sulla scuola
  • l’incarico di revisore dei conti scolastico è conferito da una Pubblica Amministrazione (istituzione scolastica/formativa) ad un dipendente dell’amministrazione provinciale facente parte del “Nucleo di controllo per la gestione finanziaria, amministrativa e patrimoniale delle istituzioni scolastiche e formative provinciali”, costituito con specifica deliberazione della Giunta provinciale
  • per l’incarico di revisore dei conti scolastico non è necessario che il datore di lavoro (PAT) rilasci al proprio dipendente l’autorizzazione prevista dal comma 2 dell’articolo 47 della Legge sul personale della Provincia, in quanto così dispone il comma 7 dell’articolo 2 del D.P.G.P. n. 39 del 1998, trattandosi di incarichi conferiti, su proposta della Provincia, da parte delle istituzioni scolastiche/formative sulla base di una precisa disposizione normativa

Alla luce del quadro normativo sopra esposto si evince che la norma di riferimento è il comma 2 dell’articolo 97 della Costituzione che enuncia il principio di imparzialità: da questo principio deriva, infatti, non solo l’obbligo per i pubblici funzionari di astenersi dal partecipare a quegli atti in cui essi abbiano, direttamente o per interposta persona, un qualche interesse, ma anche il diritto per i cittadini (correlato all'obbligo di astensione) di segnalare, per quanto di interesse, il funzionario che debba decidere su questioni in cui è personalmente interessato.

Il dovere di astenersi dal compiere attività che possono comportare conflitti di interesse, anche solo potenziali, è contenuto anche nel Piano triennale per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza 2019-2021 della Provincia autonoma di Trento, approvato dalla giunta provinciale con la delibera n.81 del 31.01.2019 in virtù del quale ogni dipendente deve periodicamente dichiarare, con apposita modulistica, l’eventuale sussistenza o insussistenza di rapporti che possono configurare situazioni di conflitto di interesse, anche solo potenziale. Tale dichiarazione va aggiornata a cura del dipendente in presenza di modifiche rispetto la dichiarazione precedentemente resa.

Si ritiene quindi che, ogni dipendente dell’amministrazione provinciale sia obbligato, nello svolgimento della propria attività lavorativa, a mantenere una posizione di indipendenza ed imparzialità per evitare di prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle proprie mansioni in situazioni, anche solo potenziali, di conflitto di interessi.

Trattasi di uno dei diversi obblighi ricadenti su ogni dipendente provinciale contemplati  anche nel Codice di comportamento approvato dalla giunta provinciale con la deliberazione n. 1217 del 2014 (in particolare dall'articolo 7) . I principi e i contenuti del Codice di comportamento costituiscono infatti specificazioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità che qualificano il corretto adempimento della prestazione lavorativa di ciascun dipendente provinciale; ogni dipendente si impegna infatti ad osservare i principi e contenuti del Codice di comportamento all'atto dell'assunzione in servizio.

Ciò detto si ritiene, quindi, che un dipendente provinciale, quale componente del “Nucleo di controllo della gestione finanziaria, amministrativa e patrimoniale delle istituzioni scolastiche e formative provinciali”, debba svolgere le proprie funzioni di revisore contabile in una istituzione scolastica/formativa diversa da quella frequentata dal proprio figlio.

Quadro normativo di riferimento:

  • articolo 97, comma 2, della Costituzione che dispone: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.”
  • articolo 26 della legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5(legge provinciale sulla scuola) che dispone: “1. La gestione finanziaria e patrimoniale delle istituzioni scolastiche è soggetta al riscontro di un revisore dei conti, che esamina il bilancio preventivo e il conto consuntivo e compie, anche ai fini della verifica della salvaguardia degli equilibri di bilancio, il riscontro della gestione finanziaria, amministrativa e patrimoniale. Il revisore ha diritto di accesso agli atti e documenti delle istituzioni e può compiere tutte le verifiche ritenute opportune sull'andamento della gestione. 2. Il consiglio delle istituzioni scolastiche e formative nomina il revisore dei conti scegliendolo, su proposta della Provincia, nell'ambito del nucleo di controllo della gestione previsto dall'articolo 44. Il revisore dura in carica tre anni e non è revocabile.”
  • articolo 44 della legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5 (legge provinciale sulla scuola ) che dispone: 1. La Provincia istituisce presso il dipartimento competente in materia di istruzione un nucleo di controllo della gestione finanziaria, amministrativa e patrimoniale delle istituzioni scolastiche e formative provinciali. Il nucleo è composto da personale provinciale competente in materia amministrativa, finanziaria e contabile, eventualmente integrato con esperti esterni, fino a un massimo di tre. 2. Il nucleo verifica il regolare andamento della gestione delle istituzioni scolastiche e formative provinciali e fornisce loro il proprio supporto per gli aspetti di competenza; trasmette una relazione annuale sulla gestione delle istituzioni scolastiche e formative provinciali alla Giunta provinciale e al comitato provinciale di valutazione del sistema scolastico e formativo. (omissis).”
  • deliberazione giuntale n. 1725 del 7.10.2016 avente ad oggetto “Composizione del Nucleo di controllo per la gestione finanziaria, amministrativa e patrimoniale delle istituzioni scolastiche e formative provinciali previsto dall'articolo 44 della legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5 recante "Sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino". Triennio scolastico 2016/2019
  • art. 1 Obblighi del dipendente  comma 2, lettera r), dell’Allegato N – Norme disciplinari  - del CCPL 2016-2018 di data 01.10.2018, che, al fine di garantire la migliore qualità del servizio, dispone che il dipendente provinciale deve, tra le altre cose, “astenersi dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere direttamente o indirettamente interessi finanziari o non finanziari propri, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado”
  • articolo 3, commi 1 e 2, dell’allegato N/1 (Codice di comportamento dei dipendenti della Provincia Autonoma di Trento e degli Enti pubblici strumentali) del CCPL 2016-2018 di data 01.10.2018 che dispone  “1.Il dipendente conforma la sua condotta al dovere costituzionale di servire esclusivamente la Nazione con disciplina ed onore e di rispettare i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione. Nell'espletamento dei propri compiti, il dipendente assicura il rispetto della legge e persegue esclusivamente l'interesse pubblico; ispira le proprie decisioni e i propri comportamenti alla cura dell'interesse pubblico che gli è affidato senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare. 2. Il dipendente rispetta altresì i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza e ragionevolezza e mantiene una posizione di indipendenza al fine di evitare di prendere decisioni o di svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni, anche solo apparenti, di conflitto di interessi. Egli non svolge alcuna attività che contrasti con il corretto adempimento dei compiti d'ufficio e si impegna ad evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica Amministrazione. Prerogative e poteri pubblici sono esercitati unicamente per le finalità di interesse generale per le quali sono stati conferiti.”
  • art. 7 dell’Allegato N/1 (Codice di comportamento dei dipendenti della Provincia Autonoma di Trento e degli Enti pubblici strumentali)   - del CCPL 2016-2018 di data 01.10.2018 che dispone 1. Il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto di interessi, anche potenziale, con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti e di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici. 2. Il dipendente si astiene altresì dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri ovvero: di suoi parenti o affini entro il secondo grado; del coniuge o conviventi oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale; di individui od organizzazioni con cui egli stesso o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi; di individui od organizzazioni di cui egli sia tutore, curatore, procuratore o agente; di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente o dirigente. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. 3. Il dipendente dichiara per iscritto al dirigente della struttura di assegnazione i motivi dell’astensione. 4. Il dirigente entro cinque giorni: a) riconosce il conflitto di interesse e assegna la pratica ad altro dipendente; b) conferma l’assegnazione della pratica al dipendente indicandone le relative ragioni; c) chiede tempestivamente, se necessario, elementi integrativi fissando allo scopo breve termine. Pervenuti gli elementi integrativi si esprime nei successivi tre giorni. 5. In caso di astensione del dirigente si applica quanto previsto dall’art. 13, c. 11. Ove sia riconosciuto l’obbligo di astensione, la pratica è assegnata al sostituto del dirigente in conflitto di interessi. 6. E’ predisposto un sistema di archiviazione ad hoc dei casi di astensione. A tale fine la struttura di primo livello competente in materia di organizzazione provvede alla raccolta e conservazione dei casi di astensione su documentata segnalazione dei dirigenti che provvedano ai sensi del comma 4, lett. a) del presente articolo.
  • articolo 47, commi 2 e 3, della legge provinciale 3.4.1997, n. 7 (legge sul personale della provincia) che dispone al comma 2: “Per i fini di cui al comma 1 la Giunta provinciale provvede con regolamento a: a) determinare i criteri secondo i quali i dipendenti dell'amministrazione provinciale possono essere autorizzati ad assumere impieghi o incarichi presso altri soggetti pubblici o privati ovvero ad esercitare le attività di cui al comma 1; b) individuare tipologie di incarichi che, per le loro caratteristiche, si intendono autorizzate decorso un certo lasso di tempo dalla domanda senza che sia intervenuto un provvedimento di diniego o una richiesta di ulteriori elementi di valutazione.” Ed al comma 3: “Il dipendente provinciale deve dichiarare per iscritto tutti gli elementi che risultino rilevanti ai fini della valutazione dell'insussistenza di ragioni di incompatibilità e di conflitto di interessi connessi con l'incarico ricoperto.”
  • articolo 2, comma 7, del D.P.G.P. 30 novembre 1998, n. 39-111/Leg (Regolamento concernente "Autorizzazioni allo svolgimento di attività e incarichi compatibili con il rapporto di pubblico impiego presso la Provincia autonoma di Trento e anagrafe degli incarichi dei dipendenti provinciali e degli enti funzionali") che dispone: “ L'autorizzazione non è altresì necessaria per lo svolgimento di incarichi retribuiti conferiti da parte della Provincia o, su designazione della medesima, o, se il conferimento dell'incarico è vincolato in relazione a specifiche disposizioni normative, anche da parte di altre amministrazioni pubbliche.”
  • deliberazione della giunta provinciale n. 81  del 31.01.2019 avente ad oggetto “Approvazione del Piano triennale per lai prevenzione della corruzione e per la trasparenza 2019-2021 della Provincia autonoma di Trento”
  • deliberazione della giunta provinciale n.1217 del 18.07.2014 avente ad oggetto “Codice di comportamento dei dipendenti della Provincia autonoma di Trento e degli enti pubblici strumentali della Provincia” e in particolare l’Art. 7 Obbligo di astensione 1. Il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto di interessi, anche potenziale, con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti e di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici. 2. Il dipendente si astiene altresì dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri ovvero: di suoi parenti o affini entro il secondo grado; del coniuge o conviventi oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale; di individui od organizzazioni con cui egli stesso o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi; di individui od organizzazioni di cui egli sia tutore, curatore, procuratore o agente; di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente o dirigente. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. 3. Il dipendente dichiara per iscritto al dirigente della struttura di assegnazione i motivi dell’astensione. 4. Il dirigente entro cinque giorni: a) riconosce il conflitto di interesse e assegna la pratica ad altro dipendente; b) conferma l’assegnazione della pratica al dipendente indicandone le relative ragioni; c) chiede tempestivamente, se necessario, elementi integrativi fissando allo scopo breve termine. Pervenuti gli elementi integrativi si esprime nei successivi tre giorni. 5. In caso di astensione del dirigente si applica quanto previsto dall'art. 13, c. 11. Ove sia riconosciuto l’obbligo di astensione, la pratica è assegnata al sostituto del dirigente in conflitto di interessi. 6. E’ predisposto un sistema di archiviazione ad hoc dei casi di astensione. A tale fine la struttura di primo livello competente in materia di organizzazione provvede alla raccolta e conservazione dei casi di astensione su documentata segnalazione dei dirigenti che provvedano ai sensi del comma 4, lett. a) del presente articolo

Sussiste l'obbligo giuridico di denunciare una dipendente che ha falsificato la firma di presa visione di un ordine di servizio?

Risposta

Fermi restando i profili di responsabilità disciplinare, si ritiene in via generale che, ai sensi delle disposizioni penali, non sussista l’obbligo di denuncia da parte del dirigente dei reati perseguibili d’ufficio e inoltre nel caso specifico , vista la depenalizzazione ad opera del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 del reato di “Falsità in scrittura privata” previsto dall’art. 485 del codice penale,  è possibile affermare che non sussista alcun obbligo da parte del dirigente

Motivazioni e indicazioni

Nel caso trattato viene riferito che una dipendente della scuola ha apposto una firma falsa di presa visione su un ordine di servizio del dirigente che assegna ad una docente l’incarico di accompagnamento degli studenti in un viaggio di istruzione.

Si deve premettere che il caso prospettato riguarda una falsità materiale, essendo stata compromessa la genuinità dell’atto mediante la sua alterazione. Resta, comunque, da stabilire se tale documento sia un atto pubblico o una scrittura privata; nel primo caso verrebbe commesso il reato di cui all’articolo 476 del codice penale (in quanto, agli effetti penali, l’articolo 493 del codice penale estende la qualifica di pubblico ufficiale agli impiegati pubblici incaricati di pubblico servizio), nel secondo il reato di cui all’articolo 485 del codice penale.

La nozione penalistica di atto pubblico è molto più ampia di quella prevista dal codice civile, dovendo rientrare in esso non solo quei documenti redatti, con le debite formalità, da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, ma anche i documenti formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio e compilati, con le debite formalità, per uno scopo di diritto pubblico, inerente all’esercizio della propria funzione e del pubblico servizio, al fine di comprovare un fatto giuridico o di attestare fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi rilevanza giuridica (Cass. pen. 17-7-1990, n. 10414). Ciò, tuttavia, non significa che ogni atto proveniente da un’amministrazione pubblica sia un atto pubblico, in quanto le amministrazioni pubbliche utilizzano anche strumenti privatistici, che non hanno natura di atto pubblico.

In proposito, la Cassazione si è pronunciata su un caso relativo ad un atto avente la stessa natura di quello trattato, nel quale “la contestazione riguardava lo spostamento, con ordine di servizio, della dipendente comunale dai servizi demografici ai servizi socio assistenziali presso il CEP. Tale atto emesso dal segretario comunale era un semplice atto di gestione, riguardante la mobilità interna, che aveva riguardato esclusivamente la posizione individuale di una dipendente e non aveva efficacia di atto di portata generale.

Orbene, la sezione lavoro di questa Corte ha già avuto modo di affermare ripetutamente che "gli atti e procedimenti posti in essere dall'amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro, secondo una precisa scelta legislativa, nel senso dell'adozione di moduli privatistici dell'azione amministrativa, che la Corte costituzionale ha ritenuto conforme al principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., (sentenze nn. 275 del 2001 e 11 del 2002)" (Cass., 17 settembre 2008 n, 23741, Cass., 18/02/2005, n. 3360).

Di conseguenza legittimamente il potere amministrativo autoritativo si è trasformato in potere privato, che si esercita mediante atti di natura negoziale, versandosi, nella specie, fuori delle materie conservate al diritto pubblico a norma di cui alla L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 2, comma 1, lett. c), nn. da 1 a 7, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 68, comma 1, e, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1” (Cass. pen. Sez. V, Sent., 19-10-2010, n. 37262).

Pertanto la disciplina applicabile si rinviene nel  D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 .

Quadro normativo di riferimento:

Articolo 476 del codice penale:

“476. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni”.

Articolo 493 del codice penale:
“493. Falsità commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico.
Le disposizioni degli articoli precedenti sulle falsità commesse da pubblici ufficiali si applicano altresì agli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, incaricati di un pubblico servizio, relativamente agli atti che essi redigono nell'esercizio delle loro attribuzioni”.

DECRETO LEGISLATIVO 15 gennaio 2016, n. 7 Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67.

Art. 3 - Responsabilità civile per gli illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie
1. I fatti previsti dall'articolo seguente, se dolosi, obbligano, oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile ivi stabilita
2. Si osserva la disposizione di cui all'articolo 2947, primo comma, del codice civile

Art. 4 - Illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie
1. Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila:
  a) chi offende l'onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa
  b) il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a se' o ad altri un profitto, s'impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene, salvo che il fatto sia commesso su cose fungibili e il valore di esse non ecceda la      quota spettante al suo autore
  c) chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di fuori dei casi di cui agli articoli 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies del codice penale
  d) chi, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se ne appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull'acquisto della proprietà di cose trovate
  e) chi, avendo trovato un tesoro, si appropria, in tutto o in parte, della quota dovuta al proprietario del fondo
  f) chi si appropria di cose delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito

2. Nel caso di cui alla lettera a) del primo comma, se le offese sono reciproche, il giudice può non applicare la sanzione pecuniaria civile ad uno o ad entrambi gli offensori

3. Non e' sanzionabile chi ha commesso il fatto previsto dal primo comma, lettera a), del presente articolo, nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso

4. Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro duecento a euro dodicimila:
  a) chi, facendo uso o lasciando che altri faccia uso di una scrittura privata da lui falsamente formata o da lui alterata, arreca ad altri un danno. Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera,    dopo che questa fu definitivamente formata
  b) chi, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per un titolo che importi l'obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o fa scrivere un atto privato produttivo di effetti giuridici, diverso da quello a cui era        obbligato o autorizzato, se dal fatto di farne uso o di lasciare che se ne faccia uso, deriva un danno ad altri
  c) chi, limitatamente alle scritture private, commettendo falsità su un foglio firmato in bianco diverse da quelle previste dalla lettera b), arreca ad altri un danno
  d) chi, senza essere concorso nella falsità, facendo uso di una scrittura privata falsa, arreca ad altri un danno
  e) chi, distruggendo, sopprimendo od occultando in tutto o in parte una scrittura privata vera, arreca ad altri un danno
  f) chi commette il fatto di cui al comma 1, lettera a), del presente articolo, nel caso in cui l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato o sia commessa in presenza di più persone

5. Le disposizioni di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 4, si applicano anche nel caso in cui le falsità ivi previste riguardino un documento informatico privato avente efficacia probatoria

6. Agli effetti delle disposizioni di cui al comma 4, lettere a), b), c), d) ed e) del presente articolo, nella denominazione di «scritture private» sono compresi gli atti originali e le copie autentiche di essi, quando a norma di legge tengano luogo degli originali mancanti

7. Nei casi di cui al comma 4, lettere b) e c) del presente articolo, si considera firmato in bianco il foglio in cui il sottoscrittore abbia lasciato bianco un qualsiasi spazio destinato a essere riempito

8. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo si applicano anche nel caso di cui al comma 4, lettera f), del medesimo articolo

Articolo 331 del codice di procedura penale:
“331. Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio.
1. Salvo quanto stabilito dall'articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.
2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria.
3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.
4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l'autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero”.

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