A EDUCA: genitori e figli fanno gioco di squadra
Lo sport può essere un valido strumento educativo a patto che sia divertente e gioioso. È questa l’unica via per far sì che i bambini trovino la motivazione per andare avanti, non solo per vincere, ma anche per scoprire un modo personale di rappresentare se stessi. Perché la pratica sportiva, insieme alla scuola e al gioco, è un momento fondamentale per trasmettere ai bambini abilità di vita, competenze trasversali che li aiutino ad essere competenti e autonomi, e a relazionarsi con il mondo. È partito da questa considerazione l’incontro “Famiglie a bordocampo”, durante il quale il tema è stato affrontato da un punto di vista sia scientifico, insieme a Valentina Biino, docente nel collegio didattico di Scienza motorie e Scienze Umane all’Università di Verona, che empirico, con le testimonianze della campionessa olimpica di kayak Josefa Idem e di Giorgio Cagnotto, ex tuffatore, olimpionico, e allenatore, tra gli altri, della figlia Tania. A moderare il seminario, organizzato dal Comitato promotore del festival insieme al Cerism, Francesca Vitali, psicologa dello sport e dottoressa di ricerca in Metodologia della ricerca in psicologia.
L’appuntamento ha messo in luce la valenza educativa della pratica sportiva e, soprattutto, il contributo che gli adulti, a partire dei genitori, possono offrire a questo percorso formativo.
“L’adulto – ha spiegato Biino – dovrebbe costruire intorno al bambino un’impalcatura, fatta di istruzioni, esempi e feedback, che lo supporti nell’affrontare le sfide. E, un po’ alla volta, eliminare gli elementi che formano questa impalcatura, in modo che il bambino scopra la propria autonomia. Per questo è importante che i genitori rimangano a bordocampo, permettendo ai piccoli sportivi di diventare autonomi”.
“Oggi abbiamo perso il senso della misura, la capacità di offrire un’esperienza sportiva all’interno di un processo di apprendimento basato sulla gioia della scoperta – ha commentato Idem, partendo dal racconto della propria esperienza personale. – Non voglio biasimare i genitori che sono ambiziosi al posto dei ragazzi, né gli allenatori che usano i ragazzi per la loro carriera, perché viviamo in un mondo competitivo a tutti i livelli. Ma è importante comprendere che con i ragazzi si entra dalla porta di servizio, ovvero noi dobbiamo servire i ragazzi e non servirci di loro”.
“I genitori – ha scherzato Cagnotto – dovrebbero essere presenti, ma invisibili”. E poi ha proseguito condividendo la propria esperienza come atleta, ma anche come genitore e allenatore. “A casa nostra – ha raccontato – non abbiamo mai esposto le mie medaglie, né gli articoli delle prime vittorie di Tania. Mia moglie ed io abbiamo sempre spronato nostra figlia a praticare dello sport, perché siamo convinti che sia un buon insegnamento di vita, ma le abbiamo sempre detto di provare più strade e scegliere quella che le piaceva di più”.
Oggi lo sport è impoverito della sua funzione intrinseca di gioco e di trasmissione delle competenze. Per questo diventa fondamentale, hanno concordato gli esperti intervenuti, fare in modo che ogni ragazzo, nella pratica sportiva, abbia da adulto una bella storia da raccontare.